Da alcuni giorni, come ormai noto, è stato approvato in via definitiva anche per i bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni l’utilizzo del vaccino anti Covid che finora è stato utilizzato solo negli adulti e negli adolescenti.
Molti genitori si interrogano su quale sia la scelta migliore: vaccinare o non vaccinare i propri bambini?
Su questo dubbio interviene il dottore Salvatore Guercio Nuzio, pediatra, che ha sottolineato come i soggetti in questa fascia di età hanno “una suscettibilità inferiore all’infezione da SARS-CoV-2 rispetto agli adulti ma possono sperimentare problemi di salute sia a breve che a lungo termine legati all’azione del virus. Negli USA su 2 milioni di bambini infettati ci sono stati 100 decessi in questa fascia di età sicché il Covid-19 è diventata una delle prime 10 cause di morte in età pediatrica. Anche in Italia, con 36 decessi dall’inizio della pandemia principalmente fra bambini con patologie croniche importanti, l’infezione da SARS-CoV-2 è ormai fra le prime 10 cause di morte in età pediatrica superando anche i decessi per meningite”.
Secondo il pediatra, i dati scientifici a disposizione confermano che un bambino fra i 5 e gli 11 anni non vaccinato ha “una probabilità più bassa, rispetto agli adulti, di avere dei sintomi gravi se contagiato dal virus e le sue varianti ma una probabilità dell’ordine di 3-5 su 10.000 di avere complicazioni infiammatorie serie (in primis la sindrome infiammatoria multisistemica o MIS-C osservata in migliaia di bambini dall’inizio della pandemia e che ha causato decessi in tutto il mondo) tali da richiedere un ricovero prolungato, e dell’ordine di 1 su 100.000 di avere una malattia così grave da richiedere cure in un reparto di terapia intensiva. Se il bambino soffre di determinate patologie croniche (in questo caso va sempre consultato lo specialista di riferimento) tali rischi possono risultare notevolmente maggiorati. Una probabilità non trascurabile di andare incontro, successivamente al contatto con il SARS-CoV-2, a una serie di effetti a lungo termine (il cosiddetto ‘long Covid’) che si sviluppano a distanza di settimane dall’infezione con sintomi prevalentemente nella sfera neuropsichica che incidono pesantemente sulla qualità della vita psico-intellettiva del bambino e della famiglia e che ancora non sappiamo quanto a lungo possano durare e se regrediscono completamente. Una probabilità vicina al 100%, nel corso di un anno, di dover eseguire esami diagnostici (tamponi) in caso di febbre o di altri sintomi correlabili a Covid-19 e di essere sottoposto a quarantena nel caso di positività”.
Se invece un bambino fra i 5 e gli 11 anni si vaccina ha “una probabilità dell’ordine di 3 su 100 di avere qualche sintomo non grave (dolore locale, febbre, malessere) per uno o due giorni e una probabilità dell’ordine 1 o 2 su 100.000 di avere un effetto collaterale di maggiore entità, ma del tutto curabile come la miocardite/pericardite. Il rischio di incorrere in questa complicanza alla dose di un terzo del vaccino Pfizer previsto per questa fascia di età appare essere molto inferiore rispetto a quello della vaccinazione degli adolescenti. Inoltre, la miocardite secondaria al vaccino viene considerata globalmente benigna, nella stragrande maggioranza dei casi è autorisolventesi ed è, in generale, fino a 4 volte più frequente nei soggetti con infezione da SARS-CoV- 2 rispetto a chi ha praticato la vaccinazione; un tempo di quarantena ridotto (7 anziché 10 giorni) in caso di positività tra i suoi contatti stretti quali i compagni di scuola. Ciò consente un maggior tempo a disposizione per partecipare ad attività extrascolastiche e di muoversi rispettando le norme generali di prevenzione in relazione sempre alla situazione dell’infezione e alla copertura vaccinale della popolazione generale e dei suoi compagni”.
“Per questi motivi, sulla base dei dati scientifici ad oggi disponibili e non provenienti da fake news – dichiara – dopo la personale valutazione rischi/benefici considero altamente raccomandabile la vaccinazione anti SARS-CoV-2 nella fascia d’età fra i 5 e gli 11 anni auspicando un’organizzazione valida ed efficace atta a selezionare la popolazione innanzitutto più a rischio per questa fascia d’età e indirizzarla verso la prima dose vaccinale. Parallelamente all’avvio della campagna vaccinale in questa fascia d’età, è ugualmente auspicabile un’ulteriore e definitiva accelerata della campagna vaccinale fra gli adolescenti e gli adulti che vivono e magari lavorano tutti i giorni con i bambini. Se da un lato le somministrazioni delle terze dosi di vaccino proseguono estremamente a rilento, infatti, dall’altro circa 6 milioni di italiani vaccinabili non hanno ancora ricevuto una dose vaccinale e questo è veramente inaccettabile perché i bambini in età scolare si proteggono dall’infezione non solo attraverso la somministrazione del vaccino ma anche e soprattutto garantendo loro un ambiente sicuro e protetto, sia a casa che in ambiente scolastico, cercando di ridurre al massimo i contatti con soggetti ancora non vaccinati e con probabile potenziale carica virale infettante”.
“Organizzando dunque la campagna vaccinale fra i 5 e gli 11 anni per priorità – conclude – tutelando innanzitutto le cronicità e avviando un’ulteriore azione di sensibilizzazione fra i soggetti non vaccinati, essa stessa acquisirebbe finalmente quel carattere solidale che sino ad oggi è mancato e che invece darebbe un significato diverso alla vaccinazione contro il SARS-CoV-2, non più costrizione o scelta forzata ma atto d’amore per se stesso e per i propri cari”.
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