Lettera aperta alla redazione – di Maria Antonietta Rosa
Gentile Redazione,
qualcuno ha detto che gli esami non finiscono mai, invece ho dovuto constatare, con amarezza, che non è così perché proprio quest’anno, per l’ultima volta, ho fatto parte della commissione esaminatrice degli esami di stato della scuola media. Si sente tanto parlare, da anni, di pensionamenti anticipati, ritardati e di esodati senza pensione. Il sogno di tutti, che sembra inesaudibile ed irraggiungibile, è proprio quello della pensione che i giovani, forse, non potranno mai avere in quanto entreranno molto tardi nel mondo del lavoro. Il Santo Padre in occasione dell’incontro con un sindacato, ha incoraggiato lo Stato italiano a far uscire dal lavoro i “vecchi” per fare posto alle giovani leve. In questa lunga attesa tra l’uscita degli uni e l’ingresso degli altri, i giovani perdono l’entusiasmo ed ai “vecchi” cosa succede? Avendo raggiunto i famosi 66 anni e 7 mesi, dovrei essere felice di godere del meritato “riposo” ed invece, essendo stata moltissimi anni nel mondo della scuola, dovendo andare via, provo un disorientamento ed un’inquietudine tanto simili ad una fitta dolorosa che trafigge il mio animo e anche il mio fisico. Il primo giorno di scuola dell’ultimo anno scolastico, vedendo i genitori che accompagnavano i propri figli, ho dovuto rifugiarmi nella sala dei professori perché era “l’ultimo primo giorno” del mio lavoro e dovevo nascondere loro la mia emozione. Il conto alla rovescia è incominciato così: le ultime vacanze di Natale, l’ultima festa di Carnevale, le ultime feste pasquali, gli ultimi esami che mi portavano, emotivamente, allo stesso timore dei miei alunni che dovevano essere esaminati, con la differenza che il mio, oltre ad essere timore, era anche dolore. Per gli alunni della mia classe, terza C, erano i primi esami importanti, per me gli ultimi. Con il caldo afoso di questa torrida estate le gocce di sudore mimetizzavano qualche mia lacrima, man mano che Denise, Aurora, Kevin, Manila, Teresa, fino all’ultimo alunno, Attilio, esibivano la propria preparazione sullo studio delle tesine. Così, tra la vita e le opere di Pascoli, Carducci, Leopardi, Alda Merini, attraversavo tutta la letteratura dell’800 e del 900, e, come in un film, mi rendevo conto che stavo giungendo alla fine del loro e del mio percorso scolastico. Una vocina dentro di me, e non quella del “fanciullino pascoliano”, mi chiedeva: “Dopo cosa farai? Come sarà la tua vita futura?” .
Di colpo, mi rendevo conto di avere paura perché il tempo che mi rimaneva da vivere era piuttosto breve e che le stagioni più belle le avevo vissute tra le quattro pareti di un’aula, gli ultimi 20 anni nella stessa aula. Improvvisamente mi rendevo conto di essere “vecchia”, perché la mia giovinezza era stata scandita da tante ore suonate da una campanella. Avevo bevuto, ogni giorno, la linfa vitale della giovinezza dei miei alunni adolescenti, avevo dato loro il mio sapere ed un po’ della mia saggezza. Essi, in un reciproco scambio, mi avevano dato, ogni triennio, la possibilità di entrare nel loro mondo “supertecnologico” di adolescenti. Ho dovuto imparare ad usare il telefonino, lo smartphone, sono venuta a conoscenza delle loro prime cotte, tutti i loro dubbi, le loro ansie, le loro paure di un mondo fatto di terrore, dove, anche partecipare ad un concerto, può essere occasione di morte. Per me è stato difficile insegnare loro che l’Uomo non è sempre crudele come il lupo della favola di Fedro, ma che c’è anche tanto amore, come quello di Ermione e Gabriele, descritto nella bellissima poesia “La pioggia nel pineto”. Ho iniziato a insegnare, molti anni fa, dopo aver superato vari concorsi, in un istituto superiore del mio paese che per me era difficile raggiungere in quanto, essendo allora solo ipovedente grave, avevo bisogno di essere accompagnata, perché molti gradini rappresentavano tante barriere architettoniche difficili da superare. Ricordo che, durante una notte insonne, trovai la soluzione per superare quegli ostacoli, infatti comprai un grosso barattolo di vernice bianca ed un pennello che servirono a mio marito, la notte successiva, per delimitare tutti i bordi dei gradini che separavano la mia casa dalla scuola, rendendoli, così, visibili ai miei occhi e donandomi quell’autonomia di cui avevo bisogno. Purtroppo, durante gli anni sono giunta ad una cecità quasi totale dovuta ad una retinopatia con successiva maculopatia e ho potuto constatare che non esistono solo barriere architettoniche ma anche mentali che ho imparato ad abbattere e superare. Negli ultimi anni ho perso la visione del volto dei miei alunni, non ho perso, però, le loro voci dalle quali ho imparato a comprendere le loro emozioni, il carattere, le titubanze. Le mie paure di non essere all’altezza delle loro richieste didattiche mi hanno sempre portata a fare meglio e di più, riuscendovi quasi sempre. Sono stata felice quando i genitori che mi avevano affidato, nei precedenti trienni, i loro figli maggiori, successivamente chiedevano di iscrivere nella mia sezione anche quelli più piccoli, non preoccupandosi che, per correggere i compiti di Italiano, io avevo bisogno di un assistente che leggesse per me e che firmasse al mio posto. Non è vero che nelle nuove generazioni ci sono solo tanti bulli, perché ho constatato molta solidarietà e comprensione umana nell’età più difficile, che è quella della formazione adolescenziale. Voglio ringraziare Valentina, una mia alunna, che mi ha sempre accompagnata uscendo dalla mensa, facendomi “vedere” dove sarei potuta cadere, riservandomi un’attenzione quasi filiale. Grazie agli operatori scolastici, che mi hanno permesso, senza pietismo e con molto tatto, di scendere le scale. Infatti mi sono resa conto quanto possa essere più dura la discesa che la salita.
Gli ultimi esami sono finiti con molti alunni che hanno raggiunto la media del 10 e lode, alcuni quella del nove, altri quella dell’otto e del sette. Spiccate il volo, mia ultima terza C, io non potrò seguirvi visivamente ma ricorderò sempre le vostre voci, le vostre risate, che mi hanno permesso, giorno dopo giorno, di arrivare alla fine. Sono sicura di avervi insegnato, oltre le mie materie, soprattutto che con la volontà si può superare qualsiasi ostacolo e raggiungere ogni obiettivo. La mia cattedra è libera ed è in attesa di un giovane insegnante che prenderà il mio posto, con tutto l’entusiasmo e la freschezza della sua giovane età. Auguri, mio giovane collega.
– Maria Antonietta Rosa –