Il recente libro di Arturo Didier “Diario napoletano 1940-1961” (voci, volti, musiche ed ambienti di una città antica), Giannini Editore, è un’opera originale, di sicuro valore letterario e si presta ad alcune importanti considerazioni che vale la pena riassumere qui brevemente. Anzitutto risalta la significativa rappresentazione di una storia personale che, di fronte ad un periodo difficile per chiunque sia vissuto nel dopoguerra, si può sempre compiere se si ha fiducia e stima in sè stessi, una scelta di vita rivolta alla qualità di cui la cultura è sempre parte fondamentale.
Nella giovinezza, da studente di Accademia di Belle Arti, Didier prende atto che nella creazione pittorica egli non ha le sorprendenti capacità dei suoi compagni, e che i suoi interessi sono maggiormente rivolti alla storia dell’arte e della letteratura. Ma ciò, a ben vedere, è risultato un fattore fondamentale per la sua formazione umana e culturale, che gli ha concesso di raggiungere risultati eccellenti nella ricerca storica ed nella pubblicazione di fonti documentarie medievali e di età moderna.
Nella “Premessa” al suo Diario egli dichiara che alla base di quest’opera c’è il fermo proposito di servirsi delle sue vicende autobiografiche per tracciare un ritratto della sua Città, e particolarmente della cosiddetta “napoletanità”, che è una categoria dello spirito, un valore universale. Ma l’aspetto suggestivo di questo libro risalta soprattutto quando l’Autore osserva i napoletani e descrive le strade della città, da via Toledo al tondo di Capodimonte, passando per via San Gregorio Armeno, in cui si producono presepi e pastori di alto valore artistico. Poi parla dei suoi amici, dei circoli culturali che ha frequentato e dei personaggi che ha incontrato e che gli hanno consentito di conoscere le grandi tradizioni storiche e culturali dell’ambiente napoletano. Al primo posto di queste tradizioni c’è la canzone napoletana, che è il vero attore protagonista del libro, un protagonista che ci ha accompagnato anche dopo le poesie musicate di Di Giacomo e che ci accompagna ancora oggi. Solo così si spiegano le poesie e la musica di Pino Daniele, moderno, universale e napoletano fino in fondo.
Il racconto autobiografico si conclude nell’anno 1961, quando Didier da Napoli viene a Teggiano con una nomina del Provveditorato di Salerno che lo invia ad insegnare Educazione Artistica presso la locale Scuola Media. Nel Diario egli scrive che, appena giunto, guardandosi intorno nota di essere capitato in un centro storico monumentale con un grande Castello e con chiese medievali, un antico tracciato ed una cornice paesistica veramente incantevole. Certo, è capitato qui per caso, ma, a conti fatti, non c’e gran che da lamentarsi. Il piccolo centro costituisce un invito a continuare le ricerche che egli da tempo ha intrapreso sulla storia e sull’arte del Mezzogiorno. E non per nulla il suo “Diario napoletano” si conclude con le seguenti, profetiche parole: “Una cosa mi è chiara, e cioè che si apre un nuovo periodo della mia vita”.
Detto questo, resta un’ultima riflessione. Speriamo che Arturo un giorno, affacciandosi ad un belvedere di Teggiano, dal quale l’occhio spazia sullo stupendo Vallo di Diano, abbia l’idea di scrivere un “Diario teggianese”, che sarà ovviamente diversissimo, ma certamente non meno interessante di questo che lui ha dedicato alla sua città natale.
– Renzo Grimaldi –