Un manoscritto conservato nell’Archivio Diocesano di Teggiano e contenente il “Libro degli introiti e degli esiti del Monastero di Donne Monache di San Benedetto di Diano” consente di conoscere la gestione economica di una comunità religiosa del Settecento, nella quale vivevano agiatamente delle suore che provenivano esclusivamente da famiglie nobili del Vallo di Diano e delle zone limitrofe. La notevole consistenza patrimoniale di questo monastero, che era il frutto di ben cinque secoli di attività, creava intorno ad esso un notevole gruppo di persone (imprenditori, artigiani, contadini, pastori) che collaboravano per il funzionamento della struttura monastica e beneficiavano ovviamente della sua rendita.
Tale movimento economico era gestito dal procuratore ed amministratore del monastero, che era il sacerdote don Antonio La Maida di Diano, il quale si premurava di non far mancare nulla alle nobili suore benedettine, recandosi perfino, una volta all’anno, alla fine di settembre, a fare acquisti presso la grande fiera di Salerno che si svolgeva appunto in quel mese.
Venendo ai particolari del viaggio, sempre dal suddetto manoscritto si apprende che don Antonio La Maida parte a cavallo da Diano all’alba di domenica 25 settembre con un aiutante e due guide, e dopo tre giorni arriva a Salerno, dove inizia subito gli acquisti per le Benedettine. Trattenendosi una settimana, egli compra tutto quello che gli è stato ordinato. Per quanto concerne i cibi e le spezie, acquista barili di tonno e di acciughe, “sportoni” di pasta, sacchi di riso, zucchero, pepe, cedro e mandorle. Poi passa ad articoli vari, come candele, incenso, due mestoli forati, un bacile di stagno e diversi farmaci. Di volta in volta don Antonio invia, per mezzo di corrieri, i suoi acquisti al convento di Diano.
Ma tante altre incombenze richiedeva la gestione economica di questa struttura monastica, come, ad esempio, lo svolgimento della vendemmia. Possedendo il convento numerosissime vigne dislocate nel territorio di Diano, tale vendemmia richiedeva la partecipazione di un gran numero di persone, uomini e donne, che venivano mobilitate e pagate.
Nel convento erano presenti 34 donne, tra monache, converse ed educande, per le quali occorreva l’approvvigionamento di adeguati generi alimentari, tra cui la carne, che veniva consumata quattro giorni alla settimana. Ma c’era anche il pesce di mare (alici), che veniva trasportato di notte dalla marina cilentana. Infine don Antonio La Maida provvedeva alla provvista di olio proveniente da Bellosguardo e a quella dei formaggi (caciocavalli), la cui produzione era notevole nel Vallo di Diano.
Come si vede, la gestione economica del monastero benedettino richiedeva una cospicua disponibilità di denaro. Ma per questo c’era la notevole consistenza patrimoniale, che determinava una rendita di ben 1.120 ducati annui.
Va detto che il cortile del suddetto monastero, in cui si ammira un monumentale pozzo che porta la data 1631, è rimasto pressoché intatto.
– Arturo Didier –
FONTE: “Libro degli introiti e degli esiti del Monastero di Donne Monache di San Benedetto di Diano”, manoscritto, Archivio Diocesano di Teggiano