A causa della pandemia di Covid-19 le attività legate agli screening oncologici sono state sospese nei mesi di marzo e aprile dello scorso anno in tutto il Paese.
In seguito, i servizi sono ripresi ma seguono tempistiche diverse tra le varie regioni: un rapporto dell‘Osservatorio Nazionale Screening ha sottolineato i ritardi che si stanno accumulando nelle diagnosi oncologiche provocando, purtroppo, conseguenze gravi. Gli esami di screening, ricordiamo, aiutano a scoprire precocemente una malattia: la mammografia per il tumore al seno, la ricerca del sangue occulto nelle feci per il tumore del colon-retto e l’Hpv-test per il tumore della cervice uterina servono a diagnosticare l’eventuale presenza di un cancro ed il controllo dei nei. Spesso possono salvare la vita.
Ne abbiamo parlato con il Professore Paolo Antonio Ascierto, ricercatore e oncologo, Direttore dell’Unità di Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Nazionale Tumori “Fondazione G. Pascale” di Napoli. Durante i difficili mesi del lockdown Ascierto è stato il primo a sperimentare in Italia il Tocilizumab (un farmaco anti artrite) per curare il virus.
- Professore, sappiamo bene che la situazione attuale vede ancora al centro del dibattito il Covid-19 tralasciando, spesso, anche altre patologie gravi come il cancro. Come ha impattato questa emergenza sanitaria sulla diagnostica e nell’assistenza oncologica?
A fine febbraio scorso siamo stati travolti da una condizione inaspettata e inusuale quale la pandemia da SARS-CoV2, un’emergenza sanitaria globale. In quel periodo gli ospedali hanno dovuto organizzare percorsi cosiddetti “Covid free” mentre gli istituti di ricerca hanno riconvertito parte delle risorse umane in personale per fare triage, per cercare di diminuire le possibilità di contagio tra personale sanitario e tra i pazienti. Durante la prima fase dell’emergenza, per evitare la paralisi in toto, abbiamo dato dei codici di priorità, come da direttive prima internazionali e poi nazionali ma di fatto, almeno noi al Pascale, non ci siamo mai fermati.
- Guardando la situazione in tutto il Paese è inevitabile, potremmo dire, che si sono registrati dei forti ritardi negli screening. Secondo Lei cosa si è tralasciato durante l’emergenza Covid? Se i ritardi negli screening dovessero protrarsi quali sono i rischi nel settore oncologico?
Il ritardo degli screening è un dato che è riportato anche dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Nei primi 5 mesi del 2020 a causa della pandemia sono circa 1,4 milioni in meno gli esami di screening effettuati comparati con il numero dell’anno precedente. E’ un dato discusso dall’AIOM e sappiamo che molto deve essere fatto per recuperare l’effetto Covid sul resto della medicina. Per quanto riguarda i controlli oncologici si è passati in telemedicina (anche se all’inizio non attraverso delle piattaforme dedicate) per i controlli da remoto degli esami per i pazienti che avevano uno stadio iniziale di malattia, differendo la visita clinica. Si tratta di misure di supporto che non possono sostituire al 100% una visita clinica con un esame obiettivo in un ambulatorio vero, ma in tempo di pandemia possono aiutare.
- Nella Sua attività quotidiana ha riscontrato qualche particolare disagio?
Come dicevo prima, non ci siamo mai fermati. Nella prima fase le cure oncologiche sono state prioritizzate a seconda della gravità: alta priorità per i pazienti metastatici e per i pazienti che dovevano iniziare un trattamento preventivo, mentre per i follow up dei pazienti con tumori a più basso rischio abbiamo utilizzato il controllo a distanza attraverso la telemedicina. Si è trattato di misure d’emergenza. Nella seconda fase abbiamo ripreso indistintamente tutte le attività in presenza, recuperando anche le visite che erano state rimandate.
- Professore, al di là della pandemia, ha riscontrato un aumento delle patologie tumorali? Se sì, quali?
Sappiamo che i ritardi negli screening che rappresentano programmi di prevenzione secondaria possono portare a un aumento della mortalità nei prossimi anni. Ad oggi sappiamo che sono state effettuate meno diagnosi di tumore. Di fatto il numero di persone che si ammalano di tumore non è diminuito, il problema cancro non è scomparso ma queste diagnosi saranno probabilmente individuate in una fase più avanzata delle malattia quando sarà clinicamente evidente. Abbiamo notato, alla ripresa degli screening, un numero più alto di diagnosi di melanoma e carcinomi della cute.
- Molte persone hanno paura di andare nelle strutture sanitarie in questo delicato momento ormai noto. È un fattore che aggrava la situazione?
Sicuramente sì. Sappiamo però che oggi andare in ospedale è molto più sicuro che fare molte delle attività che continuiamo a svolgere quotidianamente. Questo perchè sono rispettate tutte le procedure: i percorsi Covid e No-Covid sono rigorosamente separati, il personale sanitario è vaccinato e comunque effettua periodicamente sorveglianza sanitaria con tamponi nasofaringei.
- La rete oncologica, secondo Lei, dovrebbe essere potenziata?
Molto si sta facendo in questo senso. Sono stati creati supporti di telemedicina e attualmente c’è maggior dialogo con il territorio anche attraverso la rete oncologica.
- La ricerca scientifica sembra essere tornata al centro delle speranze dell’umanità. C’è una reale possibilità che il Covid abbia contribuito a fornire nuove consapevolezze?
Bisognerà ricordarselo anche dopo la fine della pandemia quando sarà necessario contrastare l’effetto Covid su altre patologie.
- Vorrebbe lanciare un appello ai cittadini?
Decisamente sì. Non rimandate le visite mediche, controllatevi, gli ospedali sono sicuri.
– Claudia Monaco –