Estratto della relazione del Presidente di Confindustria Salerno, Antonio Ferraioli, tenuta durante l’Assemblea Pubblica.
Se la minaccia sanitaria sembra piano piano affievolirsi, altri rischi di rilevante entità si profilano all’orizzonte. Scarsità di componenti e di semi-lavorati, nonché un considerevole rincaro dei prezzi delle materie prime, molti a doppia cifra; carburanti e energia elettrica e gas ai massimi valori storici, mettono a repentaglio nel nostro Paese intere filiere e produzioni.
Tale scenario è diventato ancora peggiore, più nebuloso ed imprevedibile a seguito dell’attacco bellico della Russia all’Ucraina e delle conseguenti sanzioni imposte dai Paesi Occidentali alla Russia.
Se qualcosa di proficuo si può “generare” dall’incubo che stiamo vivendo è la speranza che l’UE acquisisca finalmente piena consapevolezza che politica energetica, difesa e politica estera comune sono temi imprescindibili per la nostra sicurezza non solo economica e hanno bisogno di una regia comune a livello sovrannazionale. Famiglie e imprese sono, dunque, nuovamente in allarme. Nonostante questi poderosi freni, il mercato del lavoro sembra proiettato in una dimensione di ottimistica ripresa di cui diventa indispensabile, però, anticipare la direzione.
Resta un solido nodo da sciogliere per ritrovare un sentiero di crescita sostenibile finanziariamente, socialmente ed ecologicamente: i due terzi delle imprese che hanno deciso di ampliare il proprio organico segnalano difficoltà a reperire le risorse adatte all’offerta di lavoro. Difficoltà molto sentite nelle microimprese (63,9%), nelle piccole (66,7%) ma anche nelle medie (58,2%) e nelle grandi 50,1% (dati ISTAT).
Perché succede? Perché questo scollamento tra chi cerca e chi offre lavoro?
Una prima spiegazione a questo gap può essere rintracciata nell’impatto impresso dalla pandemia che ha diversificato la fisionomia dei posti a disposizione, aprendo nuove posizioni in linea con opportunità lavorative fin qui poco manifeste. Un’altra ipotesi è che l’inasprirsi della concorrenza internazionale, l’esponenziale diffusione della digitalizzazione e l’automazione abbiano trasformato di molto le esigenze e, di rimando, le competenze richieste dalle aziende, senza che il sistema dell’istruzione abbia avuto il tempo necessario per adeguarvisi.
Se a ciò aggiungiamo l’invecchiamento della popolazione, con il conseguente calo delle risorse in età lavorativa disponibili – contrazione che, come nota l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, è dovuta principalmente al saldo negativo tra le persone che compiono 15 anni e quelle che ne compiono 65, causato dal calo delle nascite che ha interessato l’Italia negli ultimi cinquant’anni – appare più chiaro quanto profondamente stiano cambiando le dinamiche del mercato del lavoro.
Le strategie su cui si fondava la competitività delle nostre imprese non reggono più. Oggi la sostenibilità, in tutte le declinazioni, è un prerequisito irrinunciabile che impone competenze all’altezza delle nuove sfide. Sbaglia chi pensa che la carenza di competenze sia solo un danno economico; tutt’altro: la mancata corrispondenza tra le competenze richieste dalle imprese e quelle disponibili sul mercato è un problema anche sociale che determina un autentico spreco di talento della forza lavoro più capace.
Già il Paese deve fare i conti con la sfida dei Neet, giovani senza lavoro, istruzione o formazione. Per risolvere il problema dello skill mismatch è diventato pertanto indifferibile insistere sulla qualità del sistema scolastico, una delle determinanti più importanti della crescita perché è a partire dalla scuola che si possono riscattare i destini non solo delle nuove generazioni, ma della società intera. Farlo oggi è possibile: ci sono volontà politica e risorse economiche. Con uno stanziamento totale di 33,81 miliardi di euro, il PNRR (Missione 4) ha infatti proprio l’obiettivo di rafforzare le condizioni per lo sviluppo di un’economia ad alta intensità di conoscenza, competitività e resilienza. Il sistema delle imprese chiede, in particolare, di accelerare nella formazione di competenze digitali e green avanzate. Una efficace soluzione al problema dello skill mismatch è quella offerta dalla diffusione e valorizzazione sul territorio nazionale degli ITS, oggi solo 117.
Confindustria Salerno già da qualche anno ha scelto di investire in questi “pilastri educativi”, dapprima entrando come partner nella fondazione dell’ITS Antonio Bruno e, negli ultimi mesi, lavorando sia a un corso di meccatronica attivato lo scorso gennaio a Salerno, sia ad un nuovo Istituto nell’Area Nuove tecnologie per il Made in Italy – Sistema agro-alimentare, partecipando al bando emesso dalla Regione Campania e presentando la relativa domanda il 14 febbraio 2022. In questo entusiasmante progetto, saremo direttamente coinvolti sia nella didattica, lavorando alla definizione dei piani formativi, sia nella governance, insieme ad altre istituzioni pubbliche e private, aziende, atenei e a istituti di istruzione secondaria superiore.
Chiari gli obiettivi: accompagnare le aziende nei percorsi di transizione tecnologica e digitale diretti all’adozione di prassi e modelli di produzione, logistica e distribuzione sostenibili, attraverso la formazione di giovani under 35 che acquisiranno lungo il percorso formativo le competenze necessarie. Rimettiamo al centro il lavoro, quello vero, preservandone la componente sociale e umana. Non solo l’Italia non è un Paese per giovani, ma non lo è neanche per i lavoratori di 40 o 50 anni imprigionati in comparti in crisi occupazionale. Per questo, parallelamente all’istruzione, diventa necessario spingere su politiche di riconversione professionale.
La speranza è dunque condensata tutta nella riforma e, in particolare, nel programma “GOL – Garanzia di occupabilità di lavoratori” la cui rilevante dotazione (4,4 miliardi di euro fino al 2025) dovrebbe essere impiegata per sanare i noti mali delle politiche attive di casa nostra. GOL dovrebbe cambiare passo e processi, con le imprese chiamate sia ad esprimersi sulle proprie esigenze, sia a candidarsi in modo attivo per la formazione.
Se queste necessarie trasformazioni del sistema dell’istruzione e delle politiche attive del lavoro – che, “ci chiede l’Europa”, ma del cui esito saranno responsabili i nostri governanti – saranno ultimate con successo, l’Italia potrà recuperare di certo posizioni. Per farlo, però non dovrà semplicemente correre più di ieri ma più degli altri, contando sulla voglia di futuro delle sue imprese e strappando letteralmente dall’inattività donne e giovani su cui ha pesato maggiormente la pandemia.