Lettera aperta alla redazione – di Franco Iorio
Chi ha paura dello “Ius Soli”? D’acchito risponderei Matteo Salvini. Ma non è vero. È arrivato a far capire, riuscendoci, che la sua Lega è altro partito rispetto alla Lega Nord dei lingotti d’oro e dei diamanti e, quindi, è un furbastro, abile e camaleontico, in grado di sbarcare anche nel nostro Vallo di Diano.
È segretario di un partito senza ideologie politiche, senza identità di destra e di sinistra, tenuto insieme dal protagonismo del Nord e dalla rivolta contro “Roma ladrona”. Riesce a essere di destra quando parla di immigrati e di sinistra quando si schiera contro la “porcilaia fascista”.
Silvio Ceccato disse che “ci si può infondere sia il coraggio che la paura”. Ecco, quello che stanno facendo anche i “cliccatori” che si propongono al governo di domani. Al grido di “onestà” (quella degli altri s’intende!) fa eco quello di “fuori lo straniero” di memoria fascista, che mio nonno ricordava per via di due purghe! Vai a sostenere che la storia non si ripete… Però continua.
E, dunque, mi sento di dire che lo Ius soli è un diritto già acquisito nei fatti. È il diritto sacrosanto del bambino che vede la luce in questo Paese, che in Italia vive e parla la lingua di Dante e di Manzoni (la quarta più studiata nel mondo), che qui va a scuola e impara la nostra grammatica, la nostra storia, prova le stesse difficoltà dei nostri giorni. Non è questione ideologica, non è un’idea di sinistra, quanto piuttosto una scelta evidente di sensatezza, un riconoscimento ragionevole e giusto.
La nostra, si voglia o no, è una società multietnica con etnie, culture e razze che certo comportano problemi complessi e complicati. Ma dare dimensione e dignità a chi abita i nostri stessi paesi da quando è nato, si identifica con i nostri stessi luoghi e vuole anzi sente di appartenere in pieno alla nostra stessa “umanità”, intesa come valori, sentimenti e comportamenti, significa riconoscersi nella civiltà di uno Stato che osserva principi di giustizia e professa ragionevolezza di comportamenti. Questi ragazzi non hanno altra Patria, questi ragazzi non possono sentirsi stranieri nelle mura della propria casa, non possono vivere il disagio di essere trattati dalla “legge” come stranieri pur sentendosi “italiani”. Sarà approvata o meno questa normativa conosciuta con il nome di “Ius soli”, sta di fatto che ancor prima di noi in Europa abbiano provveduto (e ti pareva!) la Francia, la Germania, l’Irlanda, il Regno Unito, come pure gli Stati Uniti, il Canada e quasi tutta l’America latina.
Non è superfluo chiarire che “Ius soli” significa “diritto di suolo” e indica l’acquisizione della cittadinanza come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. È sorprendente sapere che poi qui da noi sono circa 800mila i minori stranieri interessati alla legge, ovvero nati in Italia da genitori che risiedono in Europa da tempo. È a questi ragazzi che occorre pensare quando parliamo di una legge sulla cittadinanza. Ragazzi che qui sono stati sui banchi della scuola dell’obbligo, che hanno avuto accesso all’università e, perché no, si sono anche distinti, che un lavoro l’hanno pur fatto per vivere, che soldi ne hanno dato allo Stato non fosse altro per pagare i permessi. Ragazzi comunque “trattati” sempre da stranieri, che mai pienamente hanno potuto partecipare agli eventi della società alla pari dell’amico italiano. Nessuno, proprio nessuno, in tutta coscienza, può dire “Non mi riguarda”.
Nelle aule del Parlamento, che mi rifiuto di definire “sorde e grigie”, languisce dal 1992 una legge che conta quattro articoli: 25 anni non sono stati sufficienti a leggerli e approvarli! Non fosse altro che per rendere giustizia alle richieste e alle aspettative di “nazionalità” ai “cittadini esclusi”.
Finalmente oggi è auspicabile che la cittadinanza del terzo millennio venga costruita su una nuova idea di comunità politica: la comunità culturale, non la comunità etnica.
– Franco Iorio –